LOOPER | SPAZIOMENSA | ROMA | 2021

ritenta, sarai più fortunata | 2021

Un’atleta tenta disperatamente di fare la verticale su un divano. È questa la scena immortalata da Sonia Andresano. Un’unica scena, ripresa nell’ex teatro del Citylab – uno spazio abbandonato e, perciò, inaccessibile al pubblico – e dislocata dentro Spaziomensa. Un teatro sul cui palco, però, non accade nulla, perché l’atleta si trova in platea e, dunque, invece di essere l’attrice, è la spettatrice. Una spettatrice irrequieta, quasi a rappresentare spettralmente un pubblico in attesa di qualcosa che tarda ad arrivare, in uno spazio che, anche se vuoto, conserva le tracce stratificate di ciò che nel tempo lo ha attraversato. Uno spazio, che, anche se vuoto, sembra invaso dall’ambiente esterno. Un’unica azione che si ripete compulsivamente. Perché la posizione verticale, specialmente su una base morbida come quella del divano, può essere mantenuta solo per pochissimi secondi. Ma, nonostante ciò, l’atleta (ma si potrebbe dire “l’artista” e, in generale, “ognuno di noi”) non si arrende. S’impegna e si accanisce – quasi dovesse rispondere ad un suo monito interiore: “ritenta, sarai più fortunata” (che è appunto il titolo del lavoro in mostra), quasi fosse legata ad un vincolo che non ammette accomodamenti –, tentando di continuo, faticosamente, quasi al limite dello sfinimento, di riuscire nell’acrobazia prefissata: trovare il punto di equilibrio. Un equilibrio che costituisce lo straordinario, lo stato di eccezione, perché, appena “toccato”, è subito perso. Un batter d’occhio, un attimo fulmineo, che dura giusto il tempo di una fiammata, una contrazione del respiro. Un istante impossibile da prevedere, in cui si manifesta il Caso nella sua purezza. Un unico esercizio ripreso da quattro punti di vista differenti. Un punto di vista panoramico, in cui il movimento verticale del corpo dell’atleta si scontra con l’ampio spazio orizzontale, facendo moltiplicare la potenza visuale dell’immagine, che, proiettata sulla parete, prolunga e dilata lo spazio, restituendo la profondità della scena. E tre punti di vista più ravvicinati, proiettati su tre sculture in gesso disseminate nella sala, “copie” fantasmatiche di tre vecchi televisori ritrovati all’interno del Citylab, presenze gelide che, attraverso la luce della proiezione, riprendono vita. Quello di Sonia Andresano è l’ennesimo tentativo di trovare un’immagine in grado di restituire l’impossibilità dello stare fermi; l’insoddisfazione, l’agitazione, l’inguaribile irrequietezza che abitano ogni sosta; il logorio che corrode internamente ogni stabilità e che sradica da ogni sicurezza; il procedere per tentativi reiterati – una forma di resistenza – alla ricerca di una verticalità, di un’emersione, di una forza ascensionale, ma, allo stesso tempo, la possibilità dell’errore, della perdita del punto d’appoggio, del precipizio, della caduta, del fallimento e, dunque, della delusione, che caratterizza ogni nostro rischio. E lo fa costringendo lo spettatore ad un ping-pong visivo ed emotivo, non solo tra lo spazio in cui si trova e si muove e quello inaccessibile del video, ma anche tra le diverse inquadrature. Uno sguardo-desiderio, che, fra continui rimandi, confronti e inceppi, sbatte da un luogo all’altro, da un punto di vista all’altro, e si riavvolge, in un loop infinito.


An athlete desperately tries to do a handstand on a sofa This is the scene immortalized by Sonia Andresano. A single scene, shot in the former theater of Citylab – an abandoned space and therefore, inaccessible to the public – located inside Spaziomensa. A theatre where nothing happens on the stage because the athlete is in the stalls, therefore, instead of being the actress, she is the spectator. A restless spectator, almost ghostly representing an audience waiting for something slow to arrive, in a space that even if empty, retains the layered traces of what has passed through it over time. A space which, even if empty, seems invaded by the external environment. A single action that is repeated compulsively. Because the vertical position, especially on a soft base such as a sofa, can only be maintained for a few seconds. Despite this, the athlete (one could say “the artist” and in general, “all of us”) does not give up. She is committed and relentless-almost as if she had to respond to an inner voice: “try again, you will be luck-ier next time” (which is precisely the title of the work on display), almost as if she were tied to a constraint that does not allow accommodation-trying continuously, with difficulty, al-most on the verge of exhaustion, to succeed in the pre-established acrobatics: to find the point of balance. A balance that constitutes the extraordinary, the state of exception, be-cause as soon as it is “touched”, it is immediately lost. A blink of an eye, a flash of lighting, which lasts just as long as a blaze, a contraction of the breath. An instant impossible to pre-dict, in which Case is manifested in its purity. A single exercise shot from four different points of view. A panoramic point of view, in which the vertical movement of the athlete’s body collides with the wide horizontal space, multiplying the visual power of the image, which, projected on the wall, prolongs and di-lates the space, restoring the depth of the scene. And three closer points of view, projected on three plaster sculptures scattered in the room, phantom “copies” of three old televisions found inside Citylab, icy presences that, through the light of the projection, come back to life. That of Sonia Andresano is yet another attempt to find an image capable of restoring the impossibility of standing still; dissatisfaction, agitation, incurable restlessness that inhabits every stop; the wear and tear that internally corrodes all stability and eradicates all security; proceeding by repeated attempts – a form of resistance – in search of a verticality, an emer-gence, an upward force, but at the same time, the possibility of the error, of the loss of the foothold, of the precipice, of the fall, of the failure, therefore, of the disappointment, which characterizes all our risks. And she does so by forcing the viewer into a visual and emotional ping-pong, not only between the space in which the viewer is and moves and the inaccessi-ble space of the video, but also between the different shots. A gaze-desire, which, between continuous references, comparisons and jams, slams from one place to another, from one point of view to another, and rewinds itself in an infinite loop.

Giuseppe Armogida

ALLEGRA MA NON TROPPO | ALBUMARTE | ROMA | 2020
a cura di Daniela Cotimbo

Allegra ma non troppo | 2020

Quando un anno fa, ho incontrato Sonia Andresano e abbiamo iniziato a pensare ad un progetto espositivo, ci siamo innamorate di questa idea di trasformare uno spazio bellissimo architettonicamente ed estremamente stimolante dal punto di vista artistico come quello di AlbumArte in un ambiente domestico, che descrivesse quella sensazione intima e straniante al contempo che tante volte Sonia ha provato cambiando casa, muovendosi da un punto all’altro con la consapevolezza, ogni volta, di un nuovo inizio. Con questo spirito abbiamo deciso di collocare all’interno del percorso espositivo alcune opere del passato, si pensi a mio padre e suo figlio (2017), per filo e per segno (2018) o trammammuro (2018), che rappresentano in qualche modo quel bagaglio di memorie emotive che l’artista, ad ogni spostamento porta con sé. Abbiamo poi sentito il bisogno di dar spazio ad alcuni nuovi lavori come che ci faccio qui? (2019), veicolo cieco (2020) e allegra ma non troppo (2020), quest’ultima racconta una straordinaria esplorazione realizzata subito dopo la fine del lockdown negli spazi vuoti di AlbumArte. A raccordare il passato e il presente sono le diverse incursioni di una piccola scultura dalle sembianze di mosca che accompagnano lavori come mosca bianca (2018), sopraluogo (2019) o fall (2020). Attraverso questo elemento, a cui mi piace pensare come ad un dispositivo in virtù della sua capacità di attivare nuove forme di esperienza dello spazio, Andresano ci racconta il tentativo di stabilire sempre e di nuovo un rapporto con i luoghi, siano essi espositivi e di ricerca, fabbriche abbandonate o contesti privati (Viafarini, Ex ceramica Vaccari, AlbumArte). A raccordare queste esplorazioni è il corpo, a volte esibito nel gesto performativo come quando in mio padre e suo figlio, l’azione condivisa di abbattere un muro diventa metafora di un incontro; a volte celato come nel caso di che ci faccio qui? o delle tante incursioni della mosca in cui l’artista affida ad un elemento estraneo la capacità di generare nuovi punti di vista. Nel primo caso il movimento è apparentemente randomico, la telecamera posta sul corpo dell’azione, un comune robot aspirapolvere, ne segue goffamente gli spostamenti anche quando essi rappresentano un fallimento, un ostinato tentativo di andare oltre i limiti fisici delle pareti; nel secondo caso è la mosca a eludere le possibilità del corpo umano, inserendosi grazie alle sue piccole dimensioni anche negli angoli più reconditi, eppure dietro ogni suo moto c’è sempre lo sguardo di Sonia, delicato, intimo e incisivo. Ogni spostamento della mosca bianca rimanda in maniera eloquente a questa doppia natura del nostro rapporto con l’abitare che è fatta di transito e sosta, curiosità e sospensione. In trammamuro ad esempio, Andresano sceglie l’azione di salire e scendere con un ascensore per raccontare tutti i luoghi in cui ha abitato. Quando prendiamo un ascensore ci muoviamo da un punto all’altro, eppure siamo fermi, assorti nei nostri pensieri conviviamo con le nostre aspettative, con quello che lasciamo nel caso della discesa e che troveremo nel caso della salita. Con veicolo cieco l’artista torna alla scultura, suo punto di partenza espressivo e primo elemento di raccordo fisico con lo spazio; l’opera, un calco fedele dello specchietto retrovisore di un autocarro, è realizzata in resina opaca, semitrasparente. Laddove la superficie riflettente, in particolare quella del mezzo di trasporto ha lo scopo di rimandarci indietro nel tempo, di mostrarci ciò che ci lasciamo alle spalle, la scultura ci suggerisce invece un attraversamento e contemporaneamente ci nega uno sguardo limpido sul futuro. Idealmente il percorso si chiude con due opere: allegra ma non troppo e fall. La prima, ultima in ordine di produzione, dà anche il titolo alla mostra, alludendo al linguaggio musicale da cui l’artista trae l’idea di movimento, fisico e interiore, che è poi il filo conduttore di tutta la sua ricerca. L’osservatore si trova così di fronte ad un’esperienza metacognitiva, guarda lo spazio in cui è immerso attraverso altri occhi, ne riscopre gli interstizi, le pieghe, i suoni ed i silenzi. La seconda, sospesa nella sua metafisica attesa, ci presenta la mosca in bilico su un trampolino (opera Our brief eternity di Pierluigi Fresia) pronta a spiccare il volo o a precipitare nel vuoto, uno sguardo al futuro, un invito all’altrove, verso la prossima tappa di questo spostamento continuo. La mostra, concepita prima dell’emergenza sanitaria, è diventata poi anche una riflessione su quanto abbiamo vissuto durante questi lunghi mesi. Ognuno è stato immerso nell’intimità della propria casa, ne ha scoperto una nuova natura, a metà tra prigione e rifugio, in una dimensione di perenne attesa in cui proprio la possibilità di muoverci ci è venuta a mancare. Inevitabilmente riaprire le porte di AlbumArte, così come delle nostre vite, ha rappresentato un momento significativo di cui la mostra stessa è il risultato: tutto il lavoro di Sonia sembra voler testimoniare che ad ogni nuovo sguardo, nulla è più come prima.


When I met Sonia Andresano, almost a year ago, and we started thinking about an exhibition project, we fell in love with this idea of transforming an architecturally beautiful and extremely stimulating space as AlbumArte into a domestic environment, which well describes that intimate and alienating sensation that Sonia has experienced many times while chaning houses, moving from one point to another with the awareness, every time, of a new beginning. With this spirit we decided to include some works of the past within the exhibition path, as mio padre e suo figlio (2017), per filo e per segno (2018) or trammammuro (2018), which somehow represent the baggage of emotional memories the artist brings with her every time he moves. We also felt the need to make room for some new works as che ci faccio qui? (2019), veicolo cieco (2020) and allegra ma non troppo (2020), an extraordinary exploration carried out immediately after the end of the lockdown in the empty spaces of AlbumArte. To connect the past and the present there are various incursions of a small sculpture with the appearance of a fly accompanying works like mosca bianca (2018), sopraluogo (2019) or fall (2020). Through this element, which I like to think of as a device that activates new forms of experiencing a space, Andresano recounts the attempt to always and again establish a relationship with places, be they exhibition or research spaces, abandoned factories or private contexts (Viafarini, Ex ceramica Vaccari, AlbumArte). The body connect these explorations, sometimes exhibited in the performative gesture as in mio padre e suo figlio, the shared action of breaking down a wall that becomes a metaphor for a meeting; other times concealed as in the case of che ci faccio qui? or of the many incursions of the fly in which the artist gives the ability to generate new points of view to a foreign element. In the first case, the movement is apparently random, the camera is placed on the body of a common robot vacuum cleaner, awkwardly following its movements even when failing, an obstinate attempt to go beyond the physical limits of the walls; in the second case, the fly eludes the possibilities of the human body, inserting itself - thanks to its small dimensions - even in the most hidden corners. Yet behind each one of its motion there is always Sonia’s gaze, delicate, intimate and incisive. Each movement of the white fly eloquently refers to this double nature of our relationship with dwelling, which is made of both transit and rest, curiosity and suspension. In trammamuro, Andresano chooses the action of getting on and off an elevator to narrate all the places where she has lived. When we take an elevator we move from one point to another, yet we stand still, absorbed in our thoughts and expectations, thinking about what we leave when descending and what we will find when climbing. In veicolo cieco the artist returns to sculpture, her expressive starting point and first element of physical connection with the space; the work, a faithful cast of the rear view mirror of a truck, is made of semi-transparent opaque resin. If the reflective surface, in particular that of a truck, sends us back in time, showing us what we leave behind, the sculpture suggests instead a crossing and at the same time denies us a clear look at the future. Ideally the path ends with two works: allegra ma non troppo and fall. The former, which is also the last in order of production, gives the title to the exhibition, alluding to the musical language from which the artist derives the idea of movement, both physical and internal, guiding thread of all her research. The observer is faced with a metacognitive experience, looking at the space in which he is immersed through other eyes, rediscovering its interstices, folds, sounds and silences. The latter, suspended in its expected metaphysics, presents the fly hovering on a trampoline (opera Our brief eternity by Pierluigi Fresia) ready to fly or plunge into the void, a look to the future, an invitation to look elsewhere, towards the next stage of this continuous movement. The exhibition, conceived before the health emergency, evolved into a reflection on what we have experienced during these long months. Each one of us has been immersed in the intimacy of his home, that slowly acquired a new nature, halfway between prison and shelter, in a dimension of perennial expectation where the very possibility of moving was lacking. Inevitably reopening the doors of AlbumArte, as well as of our lives, represents a significant moment of which the exhibition itself is a result: all of Sonia’s work seems to testify that with each new look, nothing is as it used be anymore. 

Daniela Cotimbo

TRASPORTO ECCEZIONALE | KAOZ ART RESIDENCY | PALERMO | 2020
a cura di Lori Adragna e Andrea Kantos 

Trasporto eccezionale | 2020

All’interno della produzione di Sonia Andresano ci sono due lavori specifici che possono introdurre Trasporto Eccezionale. Il primo presentato proprio a KaOZ e al teatro Garibaldi di Palermo durante la seconda edizione di Border Crossing/Geografico:Volver. Il lavoro video mostrava una risacca, un moto ondoso la cui cadenza naturale era ribaltata. Un mare siciliano. La seconda opera, sempre un’isola, a Venezia: Peso Leggero, una produzione di AlbumArte. In questo caso un autotrasportatore rivelava lentamente di essere esso stesso trasportato su una chiatta. Una apparizione inconsueta, priva di una vera e propria chiave narrativa, un capovolgimento surreale tra possibile/impossibile, mobile/immobile, pesante/leggero, liquido/solido. In Trasporto Eccezionale l'artista mette in opera diversi ribaltamenti, a partire dal carico, un rimorchio apparentemente vuoto la cui vettura (anche se sarebbe più utile chiamarlo “vettore”) punta un’isola, un’isola nell’isola che porta il nome di Isola delle Femmine. Già il luogo si mostra doppio e speculare, perché sia l’isola che la punta di costa più vicina e il comune di appartenenza sono un tutt’uno nel nome: isola delle femmine. Sull’isola vige il divieto di approdo; la struttura geomorfica di scarse dimensioni, rettangolare, rivestita di una vegetazione rada, mostra una scarsa varietà della flora e della fauna. Si direbbe già un’isola di sottrazione, salvo poi suggestioni specifiche, come quella del torrione difensivo di Camillo Camilliani, l’architetto che sarebbe stato l’assemblatore di Fontana Pretoria o della delle Vergogne, una fontana essa stessa isola, mobile/immobile, progettata e costruita a Firenze e acquisita e “trasportata” a Piazza Pretoria a Palermo, per decisione del senato siciliano. Il trasporto eccezionale è una qualità e una sostanza di ordine umbratile, emotivo e mentale, ma allo stesso tempo materiale, solare, roccioso, ventoso. La tensione fra la vettura di carta (che rimanda alle barche della medesima sostanza) e l’isola, si impone nell’inquadratura in un assetto verticale, provvedendosi di un fenomeno orizzontale, raro e poderoso: lo scontro speculare delle due correnti. Sullo sfondo dell'inquadratura, qualcosa stordisce e amplifica lo spazio partendo dalla pasta della materia (carta, vento, mare) e avanza per sostanze più rarefatte, l’emozione di un incontro che deve percorrere e al tempo stesso manifestare un’impossibilità, un paradosso, una indefinitezza. La vettura ricavata da un cartamodello è mossa dal vento impetuoso della costa, ma è un movimento la cui entità esteriore fa nervo interiore, vibrazione intima, che trova un suo eco nella successione di suoni e musiche tipiche della ricerca che avviene fra i canali delle frequenze radio. Che la musica sia figlia e parente del vento non è cosa nuova, e non tanto per le onde sonore che trovano la loro dimensione aerea di manifestazione, quanto per il soffio che connesso allo strumento specifico rimanda sia alla condizione di sospiro e patema che quella divina (ruah o spirito/soffio divino) di spirito animante che il respiro e ritmo biologico degli organismi. Il Trasporto Eccezionale di Sonia Andresano si fa “carico” di queste suggestioni ma non le esplicita, non applica una cernita di simboli ma sembra quasi sottrarsi, ritirarsi in un minimalismo che sfugge le descrizioni come un foglio di carta (quasi) bianca dalla quale si manifesta la forma fragile (ma che rimanda per contrasto a quella motrice e muscolare) e il trasporto. Dicevamo un tutt’uno. Isola e costa. Mare e terra. Cielo e sole. Due correnti opposte che nell’incontro delle creste alzano picchi e forme affascinanti. Trasporto e trasportato, trasportante e intrasportabile, agibile e percorribile, impercorribile e turbolento, approdo/non approdo, per partenza e direzione che non è percorrenza, e in questa moltitudine di dimensioni slabbrate: tempo e spazio, contratte non in un’alterità/alterazione, ma in quella musica che ha a che fare comunque col quotidiano. Le stazioni sono determinazioni di avanzamento, scandiscono le tratte dei trasporti, sono presenze eteriche e allo stesso tempo necessarie. Trasporto Eccezionale è un lavoro sull’intreccio di piani, un falso movimento che ne racconta uno vero e impercettibile: il sentimento. 

Lori Adragna e Andrea Kantos

GRUGAME | SPAZIO DUALE - PASTIFICIO CERERE | ROMA | 2020
intervengono Niccolò Fano, Claudio Libero Pisano, Saverio Verini 

GruGame | 2018

Profondamente ancorate a immagini e situazioni quotidiane, le opere video di Sonia Andresano si segnalano per il tentativo di amplificazione di alcuni aspetti del reale, ponendo l’enfasi su dettagli – anche minimi – che aprono a un immaginario poetico e al tempo stesso asciutto, privo di fronzoli. Partendo da un punto di vista intimo e personale, i lavori dell’artista toccano temi di carattere più ampio ed esistenziale – lo scorrere del tempo, l’attesa, la precarietà delle relazioni umane, lo spaesamento dato dall’adattamento a contesti nuovi – in cui è possibile rintracciare anche una sottile presa di posizione politica.
È il caso di GruGame, realizzato nel 2018, ma mai mostrato ufficialmente prima d’ora: Sonia Andresano ha posto l’attenzione sullo skyline de L’Aquila, sospeso da anni come in un fermo immagine a seguito del drammatico terremoto del 2009. Decine di gru scandiscono il paesaggio della città abruzzese e ne raccontano insieme il dramma e la volontà di rinascita. Il video, che a prima vista può apparire formato da una sequenza di immagini fotografiche, è in realtà animato da lievi movimenti del paesaggio (nuvole, le stesse gru, alberi che si flettono al vento); scarti minimi che, tra stasi e oscillazioni, invitano a esplorare gli scenari presenti nel video, suggerendo una lentezza dello sguardo e un approccio contemplativo, mentre il commento sonoro incessante enfatizza il passaggio del tempo. 

Saverio Verini

CRESCIT EUNDO | FESTIVAL ART+B=LOVE(?) | ANCONA | 2019
a cura di Butik Collective 

Crescit eundo | 2019

Nel locale commerciale dello storico negozio di scarpe “Mancini”, ora inattivo, viene presentato per il Festival Art+b=love(?) l’esito del progetto “crescit eundo”: la residenza dell’artista Sonia Andresano svoltasi da febbraio a maggio 2019 ad Ancona nel quartiere Archi. Un progetto diffuso che ha visto l’artista presente ad Ancona a cadenza mensile per mettere in atto una serie di azioni in dialogo con la comunità, parte attiva nel descrivere il proprio ritratto del luogo; un approccio relazionale che vuole essere il punto di partenza e la scintilla iniziale di un percorso di riappropriazione del quartiere attraverso fusioni di memorie collettive. Il processo è stato fin da subito dinamico e aperto alla possibilità che le varie fasi, dal concept alla realizzazione concreta, potessero accogliere contaminazioni fertili dovute all’interazione con il quartiere e con i proprietari dei locali commerciali; una predisposizione all’imprevisto che ha aperto il progetto ad una molteplicità di ipotesi e cambi di rotta. In questa ottica il percorso si è arricchito di laboratori che si sono svolti all’interno della sede di Sineglossa e al Bar Leone rivelandosi preziosi momenti di scambio tra lo sguardo di chi questi luoghi li rende vivi, li attraversa, li respira ogni giorno e chi, invece, si trova ad osservarli con interesse alla ricerca di tracce che ne descrivano un ritratto. Un quartiere, quello degli Archi, che la città di Ancona sente ora come periferico e popolare ma che conserva un’intrinseca eleganza e una vitalità che l’artista, attraverso un lavoro delicato e allo stesso tempo forte e incisivo, mette in evidenza riscoprendo (e potremmo dire letteralmente rispolverando) peculiarità oggi ignorate. Il mare diventa la chiave per comprendere un quadro più complesso. Elemento che circonda Ancona, la tocca, la accarezza senza mai farsi raggiungere davvero, ma che qui agli Archi ha costruito la memoria dello storico quartiere di pescatori entrando in relazione con la morfologia degli edifici e con le attività commerciali, altri due protagonisti del lavoro di Sonia Andresano. Un progetto che è stato il tentativo di aprire un varco metaforico e anche fisico all’interno della struttura architettonica, trasformando i locali e i negozi sfitti, attualmente inattraversabili, in ipotetiche traiettorie percorribili. Assi visivi che dagli Archi raggiungessero il mare. Un progetto video installativo che nasce primariamente dalla necessità di un’azione di riconquista dei luoghi e che diviene l’augurio per una mutazione dell’esercizio commerciale privato e chiuso in uno spazio pubblico attraversabile. Non c’è in mostra una spettacolarizzazione di ciò che è avvenuto ma c’è, invece, una chiamata all’azione partendo da un preciso cambio di prospettiva e di punto di vista. Crescit eundo: letteralmente crescere con l’andare, o meglio una riflessione su cose o situazioni che si sviluppano e acquistano vigore mano a mano che si attuano o procedono. Un titolo che è allo stesso tempo una suggestione poetica legata alla transitorietà, allo spostamento, all’andare appunto, ma anche un manifesto metodologico ben preciso. Lo spostamento e il movimento sono da sempre elementi cari alla poetica di Sonia Andresano che in questo progetto perdono, però, parte del carico personale, oserei dire emotivo, per riflettere su una transitorietà comune, propria della condizione umana e tanto più caratteristica di un quartiere in continuo mutamento, dinamico e variegato. Non c’è una narrazione diretta delle storie dei suoi abitanti, non c’è un’azione giornalistica e documentaristica ma c’è certamente una danza collettiva, immortalata nella sua spontaneità.  

Alice Cerigioni

PESO LEGGERO | ALBUMARTE VIDEOARTFORUM | 2018
a cura di Claudio Libero Pisano 

Peso leggero | 2018

Sonia Andresano è una giovane artista campana, trapiantata a Roma. O trasferita, chissà. Nel senso che venire via dalla sua terra e dalla sua casa le ha sempre creato, in ogni trasloco, una certa ansia e un profondo disorientamento. Da qui parte la sua ricerca che la conduce a questo video: è un andare? Un cercare di staccarsi da mai superati dolori trascorsi in un prima di ora o di quando, a un certo punto della sua vita, è iniziato il cammino? Una faccenda che non si può ovviare, perché chi nasce dove è nata lei, deve per forza andare altrove? Nelle opere di questo ciclo, l’artista racconta il distacco, il percorso, il tragitto, la destinazione. Forzata dall’inconscio o voluta dalla ragione? E poi, se è una destinazione, è per forza logistica o è un trasferimento dell’anima? Quanto pesa tutto questo? Si trasferisce per forza anche il dolore? Quanto trasferirti è vagare? Quanto ti fa riflettere su il prima e il dopo, il presente e la speranza di futuro? Il video Peso Leggero, girato i primi di ottobre di quest’anno, registra una sensazione forte anche se a ritmo lento, quasi sospeso e fa riflettere esplicitamente sul tema di questa ricerca, riuscendo forse a dare, dopo tanto tempo, una risposta decisa. Immagini nitide, ben girato, bisogna fermarsi e ascoltare cosa vuole trasmettere, cosa ci pone davanti e dentro di noi, per capire se tutto ci segue o tutto viene trasformato.


As mentioned, Sonia Andresano is a young artist from Campania, transplanted in Rome. Or moved there, perhaps. In a sense, leaving behind her land and her home has always given her a certain anxiety and some profound sense of disorientation. Her research begins here: is this to head somewhere? Is it an attempt to break away from pains of the past or after the journey began? Is it an unavoidable experience for those born where she was born, who must necessarily expatriate? In the works that are part of this cycle, she recounts the detachment, the path, the journey, and the destination. Forced? And then, if it is a destination, is it inevitably logistic or is it a transfer of the soul? What’s the weight of all this? Does pain also move? How much of moving is wandering? How much does it make you reflect on the before and after, the present, and the hope for the future? The video Peso Leggero (Light Weight), filmed in early October this year, incites a feeling that makes us reflect on all this – offering perhaps a pivotal answer after a long time. With sharp images and well shot, the video requires one to stop and listen, in order to understand the message it conveys, what it puts before us and within us. At last, the artist believes this video represents a turning point, one at which a set of life chapters finally alleviates and culminates in a serene vision; indeed, a suspended sensation of light weight. 

Cristina Dinello Cobianchi

“Peso leggero è per molti aspetti il punto d’arrivo di un ciclo, che non necessariamente si concluderà. Ma è sicuramente un punto fermo. Rappresenta a mio parere la chiusura di un’esperienza già delineata in molti dei lavori precedenti dell’artista. L’idea dello spostamento, del carico emotivo e fisico della ricerca di un equilibrio in Sonia Andresano si evince nella rappresentazione di un dato materiale. Nei suoi lavori ha focalizzato la fatica vera di essere nomadi, una condizione non sempre scelta. Per lei non conta molto l’aspirazione alla stabilità quanto piuttosto documentare i movimenti, le connessioni tra un prima e un dopo. Una logistica tutta emotiva la sua che si esprime attraverso la messa in primo piano di oggetti e azioni apparentemente di poca importanza. Scatoloni che diventano pesanti come pietre, foto dal sapore vintage delle stanze condivise negli anni, video nei quali demolisce muri dell’ennesimo appartamento dove si trova a vivere. Ma i gesti e gli oggetti hanno il compito di raccontare un disagio vero, una ricerca di stanzialità, anche emotiva, che fatica a palesarsi”. 

Claudio Libero Pisano

TANDEM | 2018
Mole Vanvitelliana | Museo Omero | Ancona 

Sul letto del fiume, (nel mare di Ancona) | 2017

Realizzata in occasione della residenza BoCS Art di Cosenza nel 2017, quest’azione – così preferisce chiamarla l’artista – è stata concepita per il fiume Crati, il corso d’acqua più lungo della Calabria. Per le sponde di questi, l’artista ha liberato 30 cuscini per un’intera notte, iscrivendo, su 17 di essi, verbi in vernacolo Calabrese, come lattarizziu (angoscia), bbucari (soffocare) e mbaliggiari (andare/morire). Il risultato è una diaspora di pensieri, parole, stati e concetti, che su un letto immaginario fatto d’acqua – il letterale “letto del fiume” – deposita alcuni degli stati di (in)coscienza più reconditi dell’uomo. Un lavaggio, uno scorrimento e un’azione di catarsi, che nella sua casualità, in mano alle forze naturali, ha portato allo smarrimento di 4 dei 30 elementi originali: fuga? Furto? Attrazione? Repulsione? Tutte emotività insite dell’arte e della sua fruizione. In occasione della personale presso il Museo Tattile Statale Omero (MTSO), l’artista propone una ricontestualizzazione della stessa opera nelle acque del molo che cingono la struttura: quelle del Mar Adriatico. Questa seconda azione – parole dell’artista – attinge alle teorie del pensatore giapponese Masaru Emoto, il quale, con dimostrazioni pratiche e postulati teorici, ha cercato di dimostrare le capacità mnemoniche dell’acqua, in grado di assorbire e perpetrare stati d’animo, emozioni e storie. Sul letto del fiume diventa pertanto una fusione di memorie ubique che ritiene nel corpo del cuscino – icona di riposo, intimità e confessione – l’essenza più intima di due popoli, due culture e due realtà (in)conscie. 

Quattrocentocinquantanovevirgolaquattro | 2018

Dopo aver goduto dell’esperienza di sul letto del fiume – opera esterna alle mura del MTSO - il visitatore è invitato a varcare la soglia dell’ingresso principale, da cui si libera un’ovattata voce diffusa. È una sorta di bisbiglio, di confessione femminile impercettibile. Il percorso procede per gli ambienti del museo: il chiostro, le sale di ricevimento, l’interno, incrociando ambienti da cui si sospendono drappi di lenzuola che, l’osservatore, in condizione di cecità, non percepisce nella sua esperienza museale. Eppure, oltre che per via aerea, lo stesso le sta calpestando, imbrattando e rendendo proprie sotto ai suoi passi, in un’operazione plurale, di gruppo, disegnata dall’artista. L’audio che si è origliato lungo tutto il museo è un monologo che narra di un pellegrinaggio effettuato decenni orsono dalla nonna dell’artista, un viaggio di pulizia, catarsi e contrastante blasfemia, in cui la nonna, in età matura, trova il coraggio di rivelarsi nelle sue più intime sfumature di innocenza, ingenuità e contrastante malizia, cattiveria e malafede. Quattrocentocinquantanovevirgolaquattro è infatti la distanza che intercorre fra Salerno – città d’origine delle due – ed Ancona, meta del pellegrinaggio. Un’esperienza lunga ed estenuante, tanto da stimolare confessioni, pensieri, aneddoti altrimenti segreti, che ora passano d’eredità nella memoria dell’artista, esattamente 60 anni più giovane di sua nonna, distanza espressa metaforicamente dalle lenzuola sciolte per il museo e calpestate dai visitatori (lunghe 60 m). L’audio-installazione si propone dunque come una visualizzazione delle condizioni spazio- tempo cui è esposto l’uomo: 459,4 km, lo spazio e 60 anni, il tempo. Un’equazione tanto virtuale, quanto universale, che nell’opera, volta a stimolare riflessioni sul tempo, la vecchiaia e la confessione famigliare, si fa più complessa proponendo temi sociali spesso infranti ed ignorati, come la consapevolezza dello spazio fisico personale (quello impresso sulle lenzuola, con i propri passi), quello dell’ascolto (l’audio dell’installazione) e quella della fiducia interpersonale (situazione resa imprescindibile dall’incedere in gruppo). Quattrocentocinquantanovevirgolaquattro si propone pertanto come un’esperienza multisensoriale che, attraverso i suoi elementi compositivi, porta in superficie nodi della persona famigliare, pubblica e privata spesso rimasti indiscussi, inespressi e ignorati e che attraverso un discorso spirituale, fisico e confessionale si rendono fisici, spaziali e sociali. 

Il quarto strato | 2017

A completare il percorso di Sonia Andresano è l’opera vincitrice del Premio Apulia Land Art Festival 2017, il quarto strato, la stessa che ha funto da connettivo per la mostra presso il MTSO. Realizzata nel favolistico contesto delle saline di Margherita di Savoia in Puglia, l’opera celebra, attraverso un alienante lavoro manuale dell’artista, le vecchie popolazioni di salinieri operanti nell’area. Raccattando materiale ligneo povero e tessuti appartenenti a famiglie locali, l’artista produce, in un ritmo marxianamente “alienante”, una serie di zoccoli di grandi dimensioni poi adagiate lungo una cordigliera di sale in una vasca naturale. Alla vista, la barriera si configura come una falange di zoccoli modesti e altrettanto eleganti, che protendono verso il mare, verso un viaggio surreale. È una falange di lavoratori, combattenti, gente agguerrita andata ormai scomparsa, fagocitata dalla macchina e dal suo ritmo falciante e competitivo. È altresì tutte le popolazioni andate perse nel mare, alla ricerca di un futuro più concreto. È una schiera di scarpe nude che invita all’indosso, e quindi alla rivolta, alla lotta per i diritti e alla protesta delle masse, una chiamata mitologicamente “arturiana”, cavalleresca, quasi, che rende dignità ad un’icona di povertà e fatica, una memoria andata. Il quarto strato richiama, per assonanza, il noto dipinto di Giuseppe Pelizza da Volpedo, Il Quarto Stato (1901), aggiungendo a quest’opera nostalgica, militante e mitologica, un ulteriore st/rato di lettura.

Giosué Prezioso, Giuseppe Capparelli

BLU (Dialogo tra Elena Bellantoni e Sonia Andresano)
ROME ART WEEK | 2016 

In uno spazio bianco Elena Bellantoni e Sonia Andresano dialogano attraverso una proiezione video ed un’installazione. LOOKING for E.B di Elena Bellantoni è un video doppio canale in cui vengono tradotti i medesimi gesti da una parte all’altra. Le protagoniste del video sono tutte donne che si susseguono tra un'antica farmacia e uno spazio sospeso quasi irreale. Questo ritratto di famiglia è segnato da un colore, il blu. Come in un rituale, il colore-medicina, impregna la camicia di E.B. (riferimento a Effi Briest – protagonista di un libro di Theodore Fontaine, scrittore prussiano che lavorava in questa farmacia - e iniziali dell’artista stessa). Grazie al “farmaco blu” l’artista riesce a definire la propria identità all’interno del suo sistema famigliare. (I medicinali di colore blu erano considerati utili per guarire dall'isteria, "malattia" delle donne e delle cosiddette streghe nel '600). Egg di Sonia Andresano è una scultura di gesso fasciata da garze da cui spunta una schiena, la sua. Il riferimento alla donna è evidente: a prima vista Egg sembra un sesso femminile. Si sta schiudendo, ha atteso un tempo, quello della guarigione, ma resta sospeso in una evidente volontà di ritorno al grembo materno. Come contraltare ha Blu, un pannello materico di gesso e cemento su base lignea che paradossalmente rappresenta il dentro, l'anima. Entrambe le artiste sono in scena come in un corpo a corpo, rivelando la propria identità; “riflettono” su questa tinta che dipinge un’appartenenza, in cui l’elemento femminile prevale e ne segna in qualche modo il destino.

In a white space Elena Bellantoni and Sonia Andresano converse through a video and an art installation. LOOKING for E.B by Elena Bellantoni is a film video with two screens where gestures are repeated from one side to the other. The characters are all women who come one after the other among an old chemist’s and a suspended space, almost unreal. This family ‘s portrait is marked by a color, blue. As in a ritual, the medicine-colour, impregnates the shirt of E.B. (a reference to Effi Briest – the book character by Theodore Fontaine, a Prussian writer who worked in this pharmacy – and a reference to the artist initials). Thanks to the "Blue medicine" the artist is able to define her own identity in her family system. (The blue medicines were considered useful to cure the hysteria, "disease" of women and of so-called witches during the '600). Egg by Sonia Andresano is a gesso sculpture bandaged in gauzes from which a back sticks out, hers. The reference to the woman is obvious: at first glance appears like a female sex. It is hatching, it has waited its time, the time of healing, but it’s suspended in an undeniable willpower to return to the maternal womb. On the other side there is Blu, a gesso and cement panel laid on a wooden base that paradoxically represents the inside, the soul. Both the artists are on stage like in a body to body, revealing their identity; " they reflect" on this shade that paints an affinity, where the female element prevails and marks the fate somehow. 

Elena Bellantoni, LOOKING for E.B, 2012, Full HD, 6’26’
Sonia Andresano, Egg, 2014, gesso e garze, 30x37x37 cm | Blu, 2016, pannello di legno, gesso e cemento, 120x100 cm

© 2019 sonia andresano